La particolarità di questo Maigret è che la trama gialla viene in secondo piano rispetto alla vera caratteristica di tutti i romanzi di Simenon che costituisce l’elemento distintivo della sua scrittura e la sua grandezza: l’indagine psicologica dei personaggi. Simenon utilizza una tecnica semplice ma infallibile, che si usa non solo nelle indagini poliziesche, ma nella vita di tutti i giorni: mettersi nei panni dell’altro. “Un individuo, in determinate circostanze, aveva reagito in un certo modo: si trattava di mettersi al suo posto e di far scaturire dal suo essere identiche reazioni”. E così il nostro commissario in pensione si mette nei panni di Little John Maura, un francese emigrato negli Stati Uniti, musicista, che appena sbarcato comincia a girare con il suo violino e con un amico che suona il clarinetto facendo spettacolini nei circhi, arrangiandosi a vivere alla giornata, finchè non incontrano una ragazza, fragile, esile, sola anch’ella… E con la sua tecnica il nostro amico Maigret, immerso nelle stradine del Bronx di New York, tra bar malfamati, piccoli negozi di emigrati italiani e cortili dove si rincorrono bambini dai colori mediterranei ma dall’accento americano, in una città in cui, in nome della libertà, si può scomparire tranquillamente agli occhi della legge e del mondo, indaga per scoprire cosa c’è dietro gli occhi freddi e impenetrabili di Little John. Come ho già detto la sua tecnica è infallibile, quindi è certo che porterà a termine l’indagine; completare l’indagine non vuol dire sempre risolvere i gialli, scoprire il colpevole affinchè venga punito dalla giustizia umana. Ci sono punizioni che solo la nostra coscienza sa infliggere, e magari sono più terribili di un carcere a vita.