MENTE APERTA A QUALSIASI IMMAGINEE anche quella sera, mentre era rimasto fermo e terrorizzato sulle scale, con le dita e il palmo della mano che stringevano la ringhiera, come per ottenere maggiore silenzio dal corpo immobile…Non c’è niente da fare, quando leggo parole così, mi perdo e mi esalto, mi sento dentro un universo magico, sconosciuto e familiare – sento che qualcosa sta per essermi rivelato, che magari piangerò, ma starò meglio, e starò bene – sento che il piacere della bellezza mi entrerà dentro in profondità. È la misura della bellezza. La profonda bellezza di questi suoni modifica le pareti, alza il soffitto di casa, sconvolge il pavimento.Mai letto Dubus prima d’ora – di là ormai da tempo mi aspetta ‘Non abitiamo più qui’, ho sempre rimandato, adesso l’ho perfino prestato – e intanto mi sono fatto prestare questo ‘Voci dalla luna’ che avevo regalato per natale… ...traccheggio, prendo tempo, non so perché, come se non volessi dirlo: che la scrittura di Dubus è quello di cui c’è bisogno, è quella che non delude e non tradisce, è un sorso di blanc des blancs per me che di champagne vivrei. E’ perfetta, che non vuol dire proprio niente. E’ come la volevo, è come la cercavo senza conoscerla. E’ come se avesse inventato l’intensità insieme alla fluidità. E’amore a prima vista. A primo suono.Parlami di cani, Mr Dubus, parlami di prati e lattine di birra, di dodicenni, di divorzi, di preti e ballerini, di sesso torbido e innamoramento, parlami delle cose che conosco a memoria ma che non ho mai visto prima di incontrarti: parlami di quello che vuoi tu, purché continui, io ti ascolto. E non voglio interromperti. Chiuderò gli occhi e ti leggerò fino all’ultimo sorso.Ha ragione Peter Horner nella postfazione, questo è un libro gioioso, nonostante l’ala protettrice della tristezza mi avvolga la schiena mentre ascolto.Sento una batteria, una chitarra che accompagna, e un violino che s’inerpica, note perfette per queste pagine. Ah sì, ogni tanto appare un pianoforte che apre. Mr Dubus, hai scritto per vivere o hai vissuto per scrivere? Dove finiva la pagina, quand’è che posavi la penna e tornavi alla realtà? Mai. Hai vissuto in un perfetto connubio, una cosa era l’altra e viceversa. …nessuno sarà più lo stesso.PSChe piacere questa edizione Mattioli, con gli angoli smussati, con la percezione e il profumo di quei quaderni che avevano fascino e pochi colori.
Stupisce in apparenza con poco, questo racconto. E non è poco. Intanto, riesce a sembrare una scrittura semplice. Eppure si sa che non è per niente semplice la semplicità, specie quando si scrive. Fa vivere i suoi personaggi nell'accettazione e nell'accoglienza, senza però nascondere mai il loro sentimento triste della vita. Eppure non è un racconto triste. Anzi, si permette di lasciarti con il gusto dell'happy end. Senza avertelo dato.Prima racconta l'anomalo, perfino il perverso che irrompe nel quotidiano di una famiglia come fosse normale. Eppure normale non lo è per niente. (È straordinario, tanto per fare un esempio, il mix di pacatezza e tensione drammatica, di tono basso e di coloritura erotica con cui ti viene piano piano svelata l'affollata vita sessuale di una giovane coppia finita male, facendo scorrere sommessamente i ricordi di lei.)Poi invece descrive l'intensità e lo splendore che ci possono stare in un attimo della più banale vita quotidiana (una corsa a cavallo o in bici o bere qualcosa insieme padre e figlia o un amore adolescente che nasce su un prato, in una notte d'estate). Eppure lo fa senza mai essere banale. Anzi dando la sensazione di fare ogni volta un carotaggio profondo di quell'attimo, per estrarne non solo il profumo e il calore, ma l'emozione e il pensiero che ci stanno sotto, senza la cui consapevolezza appunto, tutto si banalizza; la vita, si banalizza.Ad un certo punto la madre dice “Il nostro compito non è vivere grandi vite, il nostro compito è capire e portare avanti le vite che abbiamo.” Ecco, la cosa che più mi ha stupito forse è proprio questa (e sta lì la differenza con i minimalisti americani: tra Dubus e Carver, tanto per dire il maggiore di loro): che in tutti personaggi c'è questo sforzo amorevole non solo di accettare e vivere e spingere avanti la vita, ma anche di esserne consapevoli, di evitare che ti passi addosso senza capire, senza che tu te ne accorga. Che poi è il senso che a me sembra più importante del gioco del raccontare e del leggere.
Do You like book Voices From The Moon (1984)?
This is either a very flawed short novel or a very long experimental short story. Nearly every chapter is told from a different character's perspective, which is interesting and unique, but in this case is limiting because of how powerful certain characters are. It is the simple story of a father who falls in love with his son's ex-wife, and how that threatens to destroy his family. We begin by following the youngest son, the twelve year old Richie, who is interested in becoming a priest and is in conflict with himself over feelings he has for a girl, and we return to Richie twice later as he comes to terms with what has happened between his father and brother. Other chapters follow the father, the brother, the ex-wife, and even an older sister, and they all have their place in the story, but it becomes a distraction from the central conflict, and since this isn't very much of a novel, I realized that Dubus wasn't going to offer a resolution and that my investment was wasted. It still offers some of Dubus' typically profound insights into feelings and relationships and into older men and how they contend with their emotions and lusts.
—Aaron Martz
Signore e signori ecco la famiglia più scombinata della letteratura americana del '900. Dimenticate tutto quello che avete letto fin'ora: in poco più di 100 pagine André Dubus ci dà la sua idea del mondo e della letteratura e assieme un romanzo che potete rileggere una volta al mese tanto per ridimensionare tutto quello che vi capita tra le mani, libri o altro, fate voi.C'è il padre debordante e "figlio di puttana", la madre che a un certo punto ha mollato tutto e tutti perché, ehm, l'amore era finito e ora fa la cameriera in un ristorante ungherese, la figlia il cui problema contingente è scegliere dal comodino vicino al letto tra marjuana o cocaina, un po' come voi scegliereste se mettere una camicia bianca o a fiori; ah, poi c'è il figlio piccolo una specie di Alioscia K. in miniatura, il figlio grande, povera vittima degli eventi, e poi infine c'è Brenda, beh, c'è soprattutto Brenda. Per scoprire chi è Brenda (e qual è il suo vizietto) dovete leggere Voci dalla luna, piccolo immenso e struggente romanzo pubblicato per la prima volta esattamente 30 anni fa, e che se fosse un'opera musicale potrebbe essere il quintetto d'archi e pianoforte in Fa minore di Brahms, per dire.Grazie André Dubus. Per dirla con Joan: Mondo, eccomi.
—Biagio
Nel giro di pochi giorni mi sono imbattuta in due libri (Voci dalla luna di Andres Dubus e Cani selvaggi di Helen Humphreys) con il medesimo tema di fondo: la compassione, intesa nella sua vera accezione etimologica. “La compassione è la partecipazione alla sofferenza dell'altro. Non un sentimento di pena che va dall'alto in basso. Si parla di una comunione intima e difficilissima con un dolore che non nasce come proprio, ma che se percorsa porta ad un'unità ben più profonda e pura di ogni altro sentimento che leghi gli umani. E' la manifestazione di un tipo di amore incondizionato che strutturalmente non può chiedere niente in cambio. Ed è la testa di ponte per una comunione autentica non solo di sofferenza, ma anche -e soprattutto- di gioia vitale, e di entusiasmo.” (cit.)In tale senso, la compassione - se se ne è metabolizzato tutto il processo - diventa un’ottima ancora di salvezza a cui aggrapparsi quando ci si deve salvare dalla disillusione e ridare un senso alla propria vita.Trovo sia un libro sulla svolta, sul nuovo corso dopo un’esperienza dolorosa, ma non lo definirei un libro gioioso, come invece sostiene Peter Oner, scrittore e amico dell’autore, nella postfazione, ma un libro che verte su una serena e matura accettazione. La comunione autentica implicita nel significato di compassione, si traduce qui – sostanzialmente – nell’accettazione di un comune destino di solitudine.Pregevole negli intenti e nell'esemplificazione, non mi ha però conquistata, forse per una punta di eccessivo lirismo e per una eccessiva lodevole tolleranza troppo diffusa e giunta a maturazione troppo contemporaneamente tra i membri di una stessa famiglia per poter essere pienamente credibile.
—Aprile