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Once There Was A War (2001)

Once There Was a War (2001)

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Genre
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3.79 of 5 Votes: 3
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ISBN
0141186321 (ISBN13: 9780141186320)
Language
English
Publisher
penguin books ltd

About book Once There Was A War (2001)

Once there was…Es war einmal…C’era una volta una guerra, che suona più o meno come “c’era una volta un califfo per un un’ora”. Il titolo è volutamente provocatorio. John Steinbeck, scrittore americano versatile e fecondo, si è cimentato con un evento drammatico, la guerra, vissuta in prima persona, in quanto inviato al fronte. Da questa esperienza sono scaturiti una serie di “pezzi”, spesso scritti nei tempi impossibili richiesti dai giornali e in situazioni affatto comode, il cui contenuto non appare invecchiato neppure di un giorno.Gli articoli di Steinbeck dimostrano come la professione del corrispondente di guerra, in ogni tempo, è tutt’altro che un lavoro di retrovia, e come non sia semplice conquistare la fiducia dei soldati, pregiudizialmente prevenuti nei confronti di chi ai loro occhi costituisce un intralcio alle attività, con in più una dannosa attitudine alla delazione.«C’era una volta una guerra, ma così tanto tempo fa – e nel frattempo così rimossa da altre guerre e altri tipi di guerra – che anche chi l’ha fatta tende a dimenticarla. La guerra cui mi riferisco venne dopo le corazze e le balestre di Crécy e Agincourt, e poco prima delle piccole bombe atomiche sperimentali di Hiroshima e Nagasaki». La casa editrice Bompiani, nella traduzione di Sergio Claudio Perroni, ripropone le prose di Steinbeck, giornalista a servizio dell’esercito americano sui fronti di Inghilterra, Africa e Italia, tra il giugno e il dicembre del 1943, uscite per la prima volta in America nel 1958. Fa impressione il tono dell’incipit dello scrittore americano se si pensa che questo libro ha visto la luce appena tredici anni dopo la fine del conflitto. È peraltro interessante soffermarsi su un dato. L’inizio del 2011, segnato dal crescere della tensione nell’area mediterranea, e in generale nel mondo, a causa degli effetti della crisi economica, ha salutato diverse pubblicazioni su questo tema; pensiamo al bel volume di Abscondita, che presenta in nuova veste editoriale il quaderno-poema di acqueforti, Estragos o Desastres de la guerra, realizzato da Francisco Goya tra il 1814 e il 1820; consideriamo la ristampa per TEAdue del romanzo di Helga Schneider, Heike riprende a respirare; e ancora la vicenda di Blaise Cendrars, reduce e invalido di guerra che cerca di far proseguire la propria vita, del quale Via del Vento edizioni ha pubblicato lo scorso aprile un racconto inedito in Italia. Una singolare coincidenza, si potrebbe pensare immediatamente, e tuttavia, a un’osservazione meno superficiale, viene da cogliervi una risposta, per nulla improvvisata, a un senso di inquietudine dilagante nel mondo occidentale, e un invito a non farsi cogliere alla sprovvista. Quanto sia necessaria la riflessione sul concitato momento storico che stiamo vivendo, lo prova il ritmo sempre più intenso al quale gli eventi si sono succeduti, nelle ultime settimane, proprio sull’altra sponda del Mediterraneo e nella stessa Europa, che ha visto e vede le sue piazze riempirsi ogni giorno di più di lavoratori cassaintegrati e giovani respinti dal mercato del lavoro. Questo collasso sociale rischia di avere contraccolpi gravissimi nelle nostre vite, che anzi hanno già manifestato i loro preoccupanti sintomi in un silenzioso lento, e all’apparenza insospettabile, sterminio di volontà e diritti.I resoconti di Steinbeck sembrano metterci in guardia, più di mezzo secolo prima, dai molti drammi che, lungi dall’essere risolti in guerra, incombono su di noi e che risultano strettamente collegati al grado del nostro impegno civile. L’autore, invitando il lettore ad accompagnarlo nel singolare viaggio di preparazione della guerra, ci porta dapprima a bordo delle navi allestite per il trasporto truppe e dirette in Inghilterra, e da qui alle coste africane, dove fervono le prove del D-day e dello sbarco in Italia. Ci viene dunque mostrata, senza filtri né costruzioni retoriche, tutta la complessità con cui si muove un esercito, dalle missioni assegnate ai diversi corpi alla straordinaria, e per certi versi stravagante, attività delle officine di riparazione e ricostruzione dei mezzi danneggiati, fino agli spettacoli portati ovunque dalle unità ricreative per tenere alto l’umore delle truppe, secondo uno spirito di altruismo e solidarietà incarnato magnificamente da certi personaggi sopra le righe, come il più che leggendario Bob Hope. È una scrittura che fa largo a ogni tipo di umore e che restituisce ogni situazione alla atmosfera da cui è scaturita. Così riaffiora intatta davanti ai nostri sguardi la spettralità di Palermo dopo il bombardamento, un sogno di macerie, buio e spaventoso silenzio, nient’altro che solitudine e deserto dappertutto, che sembrano stringersi attorno al cadavere di una donna, prigioniero tra le acque del porto. Né vi è minore suggestione onirica nella scena notturna cui assistono tre soldati in un convento di frati dominicani, ascoltando i canti del vespro, «quella musica antica, quella musica disincarnata e misurata…». E il sottotenente che dice al capitano: «Ci vuole tempo per abituarsi a una cosa del genere». […] Risposta: «Non c’è stato nessun passaggio, nessun cambiamento. Hai solo visto due lati della stessa cosa. Le tue esperienze non sono isole. Sono collegate esattamente come gli archi di un quartetto. Forse lo capirai tra qualche giorno, al primo scontro col nemico».Siamo di fronte, per certi versi, a un testo di antropologia e psicologia militare, in cui l’autore non trascura di analizzare fenomeni e costumi che circondano la guerra, studiando da vicino i comportamenti degli uomini, forzati all’obbedienza, coscienti dei pericoli ai quali avevano giurato di andare incontro, sottoposti a una ancor più dura battaglia con se stessi e la propria capacità di resistere. Non mancano momenti ironici o alle soglie del paranormale né avvenimenti che rivelano, piuttosto impietosamente, i paradossi annidati nella guerra. Si pensi ad esempio all’impresa di Ventotene, che non a caso chiude la galleria di immagini dal fronte: cinque ufficiali e quaranta paracadutisti fanno arrendere un presidio di ottanta tedeschi con un bluff. Il fatto che in guerra vi è spazio per una dimensione che non pare azzardato definire ludica è la riprova che gli uomini, dentro di sé, rigettano istintivamente l’ostilità: «Il tenente si sentiva un po’ ridicolo, come se fossero quattro ragazzini in marcia per attaccare il capanno della banda nemica».Steinbeck ci invita a una riflessione che si dimostra preziosissima nella nostra attualità disorientata e contaminata, fino all’inverosimile, dal déima, la paura, quello stesso sentimento di cui Eschilo, il buon padre della tragedia greca, aveva esortato i suoi lettori a prendere coscienza, per impedire che avesse il sopravvento nell’organizzazione della vita civile: «Certo, gli uomini venivano uccisi, o mutilati, ma chi sopravviveva non portava in dono ai propri figli un seme guasto. Adesso ci siamo nutriti per anni di paura e solo di paura, e la paura non dà buoni frutti. Da essa nascono crudeltà e inganno e sospetto, germogliati nelle nostre tenebre. E così come è certo che stiamo avvelenando l’aria coi nostri esperimenti atomici, è altrettanto certo che abbiamo l’anima avvelenata dalla paura, da un terrore senza volto, stupido e necrotico».Parole di uomo che dalle asperità del fronte leva uno sguardo preoccupato ma lucido, cercando di risvegliare la nostra piena consapevolezza e partecipazione nell’urgenza creatasi in questo inizio millennio, che ha visto affollarsi scelte economiche e strategie politiche molto spesso contraddittorie e quindi fallimentari, segnando un arretramento morale e materiale che non può essere più taciuto.Also available on Lankelot.eu Archive: http://www.lankelot.eu/letteratura/st...

Once There Was A War is a collection of Steinbeck's daily reports for the New York Herald Tribune from June 20th, to December 13th, 1943. He travels with American troops to England, to Africa, and then witnesses the capture of the Italian island of Ventotene (a German radar station) by "five men in a whaleboat." Steinbeck's writing has a mesmerising quality that makes you feel you really are there, seeing through his eyes. In his first few reports he describes life onboard a troopship heading for Britain. He tells us that: "The major impression on a troop ship is of feet. A man can get his head out of the way and his arms, but, lying or sitting, his feet are a problem. They sprawl in the aisles, they stick up at all angles They are not protected because they are the part of a man least likely to be hurt. To move about you must step among feet, must trip over feet."During wartime, information is tightly controlled, so rumours abound - some funny, and some frightening. Like every war reporter, Steinbeck's reports had to be censored. So, here and there, you meet the frustrating phrase: "(one line deleted by censor)", and when he comes ashore on June 25th, it is "Somewhere in England". Opening a Steinbeck book can be like putting in a new light bulb: suddenly everything seems so much clearer. It's the mark of a great writer. With his usual simple elegance and power he describes life in the barracks as the preparations for D-Day begin. (Amusingly, he notes that: "...the British pretend, as usual, it is some kind of a garden party they are going to.") On July 6th, he describes the day-to-day 'life goes on' attitude of people living in Dover, constantly shelled, and within sight of occupied France: "There is a quality in the people of Dover that may well be the key to the coming German disaster. They are incorrigibly, incorruptibly unimpressed. The German,with his uniform and his pageantry and his threats and plans, does not impress these people at all. [...] Jerry is like the weather to him. He complains about it and then promptly goes about what he was doing."He expresses the thoughts and feelings of servicemen, and civilians alike, and they display a quiet heroism that is a very long way from Hollywood: "I wish they'd tell them at home that the war isn't over and I wish they wouldn't think we're so brave. I don't want to be so brave."Steinbeck's stark description of the aftermath of the bombing of a cinema, later that month, is stunningly powerful. But there's also plenty of humour, and it's not just about the war, there's a culture clash to explore as well. Take his observations on the way the English cook vegetables to death: "The brussels sprout is a good example [...] It is first allowed to become large and fierce. It is then picked from its stem and the daylights are boiled out of it. At the end of a few hours the little wild lump of green has disintegrated into a curious, grayish paste. It is then considered fit for consumption."He paints pen-pictures of some funny characters, just as Joseph Heller went on to do in Catch-22. Like Private 'Big Train' Mulligan - an ultra-lazy 'gold-bricker', and a Lieutenant-Commander who likens naval warfare to chamber music. (Different sized guns representing different sized violins.) As they were written for a newspaper column, these dispatches are all of a uniform length, making this a terrific book to dip into whenever you have a couple of minutes to spare. It's not one of those harrowing books about war that will leave you dazed and depressed, these pieces of writing would have been required to keep people's spirits up as well as describing to the people back home the life of the troops preparing for the final push. Of course, that may mean that there is an element of propaganda here, but hey, this is Steinbeck, and he's on our side, so who's complaining? [Review originally posted on dooyoo.co.uk in January 2002.]

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When the US entered World War II, Steinbeck had been involved in writing anti-fascist propaganda for some time. He was keen to secure a commission as an intelligence officer in the armed forces, but this didn't eventuate. Steinbeck then spent time trying to get himself appointed as a war correspondent. In April 1943, the New York Herald Tribune offered to hire him if he could obtain the necessary security clearances. Doing so was not as easy as it should have been, as some people interviewed by Army Counterintelligence described Steinbeck as a dangerous radical. According to Steinbeck's biographer, Jay Parini, a right wing group known as the American Legion Radical Research Bureau had compiled what it considered to be damaging information about Steinbeck, specifically that he had contributed articles to several "red" publications. If Steinbeck was aware of what was being said about him at the time, it must have been particularly galling, given his commitment to supporting the US government and given the fact that his personal politics had never been further to the left than New Deal Democrat. In any event, Steinbeck obtained clearance to work as a war correspondent and travelled to England on a troop ship in June 1943. He spent almost five months in England and then in Europe, reporting from England, North Africa and Italy. This is a collection of Steinbeck's dispatches from that period, first published in 1958. In the introduction, Steinbeck describes the attitude of experienced war correspondents to his arrival on the scene:To this hard-bitten bunch of professionals I arrived as a Johnny-come-lately, a sacred cow, a kind of tourist. I think they felt I was muscling in on their hard-gained territory. When, however, they found that I was not duplicating their work, was not reporting straight news, they were very kind to me and went out of their way to help me and to instruct me in the things I didn't know.Some of Steinbeck's dispatches are quirky observations, some are very funny, some are intensely moving. There is a certain uneveness in the quality of the writing, with some pieces much better written and more interesting than others. Among the best of the pieces is a tribute to Bob Hope in his role as an entertainer of troops and a very funny story about American soldiers collecting souvenirs. However, the most poignant and powerful pieces are those which deal with the allied invasion of Italy. It is in writing about this event that Steinbeck's unsentimental but poetic writing really shines. In an interview with Jay Parini, Gore Vidal said this about Steinbeck:The truth is that Steinbeck was really a journalist at heart. All of his best work was journalism in that it was inspired by daily events, by current circumstances. He didn't "invent" things. He "found" them. (See John Steinbeck: A Biography page 331). .This work provides sound evidence of the correctness of Vidal's opinion.
—Kim

After reading my first Steinbeck over 23 years ago, I knew I had found an author that resonated with something deep inside me. Over the years I've gone back and re-read quite a few, however since 2007, I've parsed out the last of his screen plays and non-fiction collections. I even squeezed in a trip to the Steinbeck Museum in Salinas (meh). "Once There Was a War" represents the very last, un-read edition on my list and it did not disappoint.This collection of WWII reporting does what so many others does not, instead of troop movements and generals, this tells the true stories of the soldiers. For those unfortunate few, war can be a constant struggle, a battle for your very life against the elements and unknown opponents. But for the great majority in those massive wars of bygone days, war was stacking boxes, repairing engines, typing reports, and making sure people got fed. That's what Steinbeck so elegantly conveys here. In a world of dramatic, comic book-like action scenes, he tells the stories between the panels. Without his words, I would never know that a welsh stevedore had spent 3 years without an orange, or exactly who Big Train Mulligan was...I would say they don't make writers like Steinbeck anymore, but the truth is, they never did. This is more than just a collection of old-timey newspaper articles, it is minimalist art in the written word at its finest.
—Jon

I love John Steinbeck and think I have read a lot of his stuff, but luckily I found this little tome at the Brandon Library Book Sale. It is a collection of essays that were written by Steinbeck from June through December 1943 as a correspondent in Europe. As typical for his literary endavors it focuses on the "human side," and in this book, the human side of war. They are short, easy to read quick dispatches from various locations: England, Africa and Italy. And very moving in there story-telling, basically that war sucks, I can't think of another way to say it. I know it is from the Big One, so is almost quaint in its approach to events. I am not sure it happens that way any more, maybe it does and I do not know, but is still powerful in its disdain for assuming that war is the only answer. It probably will never change - which makes me sad. Though I am sure Mr. President Peace Prize thinks he has the answer.
—Stephen

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