Tenero da far bene. Adoro questo piccolo libro. La prima volta lo lessi in pullman durante un viaggio accidentato e lungo da Cagliari a Nuoro. Ricordo che eravamo una trentina di persone delle età più disparate e ci recavamo a Nuoro per un congresso dei Comunisti Italiani. Quando ancora ci credevo, aggiungo. E ricordo che, nonostante il sottofondo chiassoso, riuscì a leggere e a sottolineare questo libro e ad innamorarmi del piccolo protagonista napoletano. L’ho riletto adesso nella tranquillità di casa mia (se di tranquillità di può parlare vista la piccola e vispa bimba pestifera che ho generato) e l’amore per il piccolo protagonista non è stato scalfito, lo stesso non si può dire per i comunisti italiani, ma questa è un’altra storia. Le vicende si svolgono a Napoli nel quartiere di Montedidio. Lui ha appena compiuto tredici anni e il babbo, come è giusto che sia, l’ha messo a lavorare. Anzi, rispetto ai suoi coetanei l’ingresso nel mondo del lavoro è avvenuto in ritardo visto che era un po’ malatticcio. È il suo primo giorno nella bottega di mast’Errico. Imparerà a lavorare il legno e la sera annoterà i fatti del giorno in un avanzo di bobina regalatagli dal tipografo che è buono, in fondo, gli piace soltanto toccare il piscitiello ai ragazzini. Con sé porta sempre il bumeràn che proviene dall’Australia, ma non lo può lanciare perché nel suo quartiere non c’è lo spazio nemmeno per uno sputo. Fa niente: può sempre fare la mossa di tirarlo. Il bottega c’è anche Don Rafaniello, o’ scarparo, che ha la gobba dalla quale un giorno spunteranno le ali che lo porteranno a Gerusalemme: si sentono già scricchiolare le ossa delle ali. E poi c’è lei: Maria…Tra gli stretti e chiassosi vicoli di Montedidio si staglia la figura di un tredicenne che fa la cronaca delle sue giornate e la fa in italiano, pur sentendosi un traditore del suo dialetto, perché l’italiano è zitto e ci può mettere i fatti “riposati dal chiasso napoletano”. Montedidio ha la sostanza di una favola, amara certo, nella quale l’io narrante ci porta nel suo brusco percorso di crescita privo di tappe intermedie che si traduce in uno sfondamento quasi violento di quelle porte che conducono nel mondo adulto. È un romanzo ricco di tenerezza e magia nel quale domina l’assenza, dirà molto saggiamente il protagonista “I grandi vanno dietro ai loro guai e noi restiamo nelle case sorde che non sentono più un rumore. Solo il nostro sentiamo e fa un po’ paura.” La solitudine, le assenze e le dolorose perdite si uniscono, quasi a creare una compensazione salvifica, con la forza, la voglia di vivere, “l’ammore” e, soprattutto, i sogni i quali, in qualche modo, si realizzeranno nella notte di Capodanno tra colorati e rumorosi fuochi d’artificio. De Luca ci regala una storia tenera, fiabesca ma non troppo, in un alternarsi di crudezza e lirismo che ha la capacità di incantare dalla prima all’ultima pagina. E il piccolo napoletano rimarrà con noi anche a libro terminato.
Quando sogni di volare non porti peso, non devi convincere la forza a tenerti sollevato. Ma quando arrivano le ali e il colpo si deve fare pronto per salire l’aria, allora serve una violenza per staccarti da terra, un salto come un coltello che deve strappare dal suolo con un taglio. Nella Napoli di fine anni ’50 tra i quartieri di una città in espansione che ruba alla terra centimetro dopo centimetro per crescere, sulla collina di Montedidio vivono un ragazzo di tredici anni, suo padre e sua madre. La vita del ragazzo trascorre in modo anonimo, tra un lavoro in bottega come apprendista falegname e una ragazzina, Maria, con la quale inizia a scoprire l’amore. Un giorno, però, in bottega arriva Rafaniello, un esperto calzolaio molto particolare: sembra gobbo, ma in realtà nella protuberanza gli stanno crescendo le ali. Già, è forse un angelo?, si chiede il ragazzo. Forse. Si sa solo che deve volare lontano, perché Napoli non è la destinazione definitiva, ma solo la tappa del suo lungo viaggio.Rafaniello e il ragazzo in comune hanno molto, soprattutto la voglia di volare. A Rafaniello appunto stanno per spuntare le ali, mentre il ragazzo si allena sui tetti dove ci sono i lavatoi per far volare il suo bumeràn, un oggetto esotico e quasi magico regalatogli dal padre.Il ragazzo annota tutto, rigorosamente nell’italiano che sta imparando, su un rotolo di scarto di una tipografia. Scrive febbrilmente, a matita, il suo diario personale dove annota emozioni, sentimenti e eventi, in un crescendo di tensione fino al arrivare alla notte di Capodanno quando, sui tetti, Rafaniello volerà via e lui farà finalmente volare il suo bumeràn, accompagnato da Maria.Questa è la trama della storia raccontata da De Luca. Come vicenda è godibile, soprattutto per chi come me ha avuto la fortuna di visitare la città di Napoli, grazie a questo mi sono sentita molto vicina alle descrizioni dei luoghi o del profumo dell’aria che i personaggi respirano. De Luca ci presenta la storia attraverso uno stile asciutto, essenziale, dovuto al fatto che sta scrivendo le annotazioni viste di un garzone di una falegnameria, e in questo ruolo si è calato con indubbia maestria.Ho letto “Montedidio” semplicemente come fosse un romanzo. Forse, in una seconda lettura – o in una più attenta – si potrebbero trovare altri significati, magari più profondi, legati soprattutto alla saggezza della figura di Rafaniello. Io non ho trovato la poesia decantata dalle altre recensioni. Ho trovato però un delicato elenco di note e di storie di un tredicenne alla scoperta della vita.
Do You like book God's Mountain (2002)?
اول رواية لي في الأدب الايطالي ..تدور احداث الرواية في منطقة تدعى جبل الربيسرد فيها صبي صغير مراحل تحوله من الطفولة الى المراهقة خلال هذا يصف علاقته بعدد من الشخصيات التي تترك اثراً في حياتهمثل الاسكافي رافانييلو وجارته التي يفتنن بها (ماريا)بطل الرواية مجهول الاسم وهو الذي يقص الاحداث بطريقة جافة ومتقطعة وشبيهة بالمذكرات , اسلوب السرد ذكرني برواية (الدفتر الكبير لآغوتا كريستوف) لها نفس الطريقة الباردة في رواية الاحداث.في الرواية حديث عن الوطن والحب والحياة .."الوطن هو المكان الذي يوفر لك الخبز"" من يكن وحيداً يساوي اقل من واحد""انه يتعامل مع الافكار مثلما يتعامل مع الاحذية يقلبها رأساً علىى عقب ويصلحها"- لا نهاية في هذا الكتابربما لأن ما في الصفحة 14 لايمكن أن ينتهي ..
—Saly Civil
Quando scopri qualcosa di straordinario, magari dopo aver percorso un tratto non breve, ti domandi come sia stato possibile non averlo notato prima. Lo avevi sotto gli occhi e non eri mai riuscita a vederlo. Questa è stata la sensazione che ho provato dopo solo un paio di pagine. E una puntina dolorosa, perchè davvero non conoscevo Erri De Luca. Un libro solo è come una rondine. Non sempre annuncia la primavera. Però Montediddio è davvero straordinario. Un racconto di formazione. Di crescita. E la crescita è una perdita. La perdita della madre, primo doloroso passaggio, poi, la perdita del bùmeran, che modellava i muscoli del corpo fino a farli diventare vibranti e gonfi, la perdita della figura simbolica di Don Rafaniè, il mentore, vittima sacrificale scampata all'olocausto che conserva la sua innocenza fino a spiccare il volo. E mentre bumeran e Rafaniè spiccano il volo, il ragazzo che diventa uomo afferra l’ombra alle spalle di Maria, e la butta via, la butta via così duro che vola, vola di sotto, vola dalla terrazza di Montediddio. Ecco che la sua crescita si è compiuta. E’ diventato uomo e ha perso l’innocenza. Questo è il filo rosso del racconto. Ma moltissimi altri spunti di riflessione nascono dalla scrittura di De Luca: è una lingua piana, calma, ma non lenta. ( Come è possibile, perchè mi viene di associarla a Petrarca?) Anche gli spazi tra i paragrafi sembrano suggerirti una pausa, e il pensiero germina sulle note accennate dallo scrittore. E le parole si sedimentano.
—Alea
Montedidio è tutta Napoli e nella Napoli dei vicoli di Montedidio non c’è tempo per giocare. I due piccoli protagonisti di questa dolce e triste storia crescono in fretta sospesi tra un passato ancora troppo recente e un futuro tutto nuovo da costruire. Perdono l’innocenza, si misurano con le cose e le parole dei grandi che nelle loro bocche prendono la forza di un’essenzialità di sentimenti. I movimenti di una piccola donna e le braccia di un piccolo uomo sostengono un’amicizia coraggiosa e silenziosa, un'«alleanza, una forza di combattimento» mentre intorno i grandi si dividono e si perdono e tutto cambia troppo velocemente. Nella notte del 31 vola in alto l’ultimo gioco e con esso l’ultimo pezzo d’infanzia. Vola giù anche l’ultima macchia di una fanciullezza sporcata, e si libra in alto un angelo che ha fatto più lievi i passi a tutta Montedidio. Si ritroveranno più grandi, all’improvviso, abbracciati sotto i fuochi e le esplosioni, come in guerra. Molto in meno, tanto davanti, in due.
—Johnny Fritz