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Blonde (2002)

Blonde (2002)

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3.96 of 5 Votes: 1
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ISBN
2253152854 (ISBN13: 9782253152859)
Language
English
Publisher
le livre de poche

About book Blonde (2002)

Articolo pubblicato su: http://leanimesalve.wordpress.com/201..._Dacci un'occhiata! Grazie! :)Colibrì« ...ma tu continuavi ad essere bambina,sciocca come l'antichità, crudele come il futuro,e fra te e la tua bellezza posseduta dal poteresi mise tutta la stupidità e la crudeltà del presente. »Pier Paolo PasoliniNew York. Un’appetitosa ragazza all’apice della sua bellezza. In un abitino di crêpe bianco, stretto in vita, con un corpetto che le culla il seno tra le seducenti pieghe elastiche del tessuto. La ragazza è ferma a gambe larghe su una grata della metropolitana. La sua testa di un biondo irreale lanciata all’indietro, come sospinta dal soffio d’aria che dal basso le gonfia la gonna e che invano lei cerca di trattenere con voluttuosi gridolini divertiti. Benedetto venticello che fa fluttuare magicamente il diafano abito bianco attorno ai suoi fianchi e le scopre le mutandine di cotone. Un vestito magico, senza il quale la ragazza sarebbe solo mera carne da macello, volgarmente esibita. Un abito che passerà alla storia. Come colei che lo porta.Quella ragazza è Marilyn Monroe.Pallida come un raggio di luna e placida come una bambola meccanica. Eppure incredibilmente fremente, scintillante, incandescente. La sua pelle era fine e traslucida come pura seta, ma contemporaneamente rovente al tatto. Lievemente dorata. Non aveva nulla di particolarmente perfetto, nulla che potesse rivelare il segreto della sua bellezza. Non aveva un naso bellissimo come Liz Taylor o le labbra scolpite di Brigitte Bardot, e neppure gli stupendi occhi a mandorla di Sofia Loren. Eppure appariva più di tutto questo messo assieme.In qualsiasi luogo e in qualsiasi scena era in grado di assorbire la maggior parte della luce. Senza sforzo apparente. Assorbiva la maggior parte della vita, per quanto meticolosamente coloro che le stavano vicino si prodigassero per emergere. Sulla pellicola era qualcosa di ultraterreno. Mentre gli altri personaggi erano soltanto misere figure bidimensionali, Marilyn Monroe, o Norma Jeane Baker, era una creatura viva. Con quella sua splendida pelle, coi suoi movimenti da sonnambula, con la sua voce da bambina, col blu traslucido dei suoi occhi portentosi, simile a quello di un tempestoso mare del nord.Eppure, nonostante il mondo si prostrasse incantato al suo fascino, Norma Jeane sembrava non avvertire il suo potere. La magia bianca che espandeva intorno a sé. Per tutta la vita avrebbe conosciuto sé stessa dalla testimonianza e dalle parole degli altri. Avrebbe conosciuto la propria esistenza e il valore di quella tramite lo sguardo altrui, l’unico di cui potersi fidare tanto quanto non poteva fidarsi del suo.Non era in grado di controllare sé stessa e conseguentemente il proprio successo. La sua “fama” era un incendio che nessuno era in grado di dominare, neppure i pezzi grossi dello Studio di Hollywood, che se ne attribuivano il merito. In effetti per loro non era un Mito e neppure un’icona. “Marilyn Monroe” ai loro occhi era una sgualdrinella di livello appena più alto di quello di una prostituta o di un attrice porno.Eppure era difficile non vederne il talento. Sul set Marilyn Monroe appariva come un’attrice nata, per certi versi una specie di “genio” –qualunque cosa significhi il termine “genio”-, che di volta in volta si scopriva a recitare per istinto, così come una donna sul punto di annegare, a furia di dibattersi in maniera convulsa e sconnessa, si scopre a nuotare per disperazione. Per istinto naturale.Tutto questo grazie all’amica dello specchio di Norma Jeane, che lei scoprì appena fu abbastanza grande per vedere. La sua Amica Magica, piena di purezza. Solo attraverso lo specchio Norma Jeane poteva percepire il proprio corpo, con nitidezza, con ludicità. Solo così poteva vedere sé stessa.“Nessuno mi vuole, voglio morire”. L’errore di essere nata e l’ambizione di vendicarsi del mondo conquistandolo –in qualche modo, in qualsiasi modo!- sola, come singolo individuo, perdipiù di sesso femminile, privo di genitori, abbandonato, inizialmente ignorato come un solitario insetto in una pullulante massa di propri simili. La promessa di riuscire a farsi amare, da tutti e soprattutto da coloro che avevano disprezzato il suo amore, punendoli con la propria bellezza e la propria tenacia. Tuttavia Norma Jeane, nonostante la ferita nell’anima, dentro di sé sapeva di essere stata fortunata ad arrivare così in alto, quando la sua alternativa era finire ustionata a morte nell’acqua bollente o bruciata viva dalla madre impazzita nel bungalow all’828 di Highland Avenue.Nonostante questo la vita di Norma Jeane come Marilyn Monroe era diversa da quella presentata sulle copertine delle più prestigiose riviste patinate d’America. La sua vita era una vita di duro lavoro, un lavoro pieno di preoccupazioni, che di notte la teneva sveglia per l’ansia, un lavoro duro, logorante e massacrante come mai nessuno di quelli che aveva fatto prima. Era come camminare su un filo, senza rete, con addosso l’occhio critico di qualcuno che non aspettava nient’altro che un suo passo falso. L’occhio del prossimo con il suo crudele potere di ridere di lei, di prenderla in giro, di rifiutarla, di licenziarla, di rispedirla con un calcio nel nulla in cui era nata.Eppure sulla scena era diversa. Guardarla era affascinante, come potrebbe esserlo guardare un malato di mente. Niente recitazione, nessuna tecnica. Nel suo camerino avveniva qualcosa. Entrava timida, impacciata, insicura, fragile e, dopo qualche ora, al suo posto appariva un’altra persona, un’altra personalità che era la sua ma che al tempo stesso non era la sua. Calata nelle sua parte, come se finalmente avesse trovato la propria identità.L’attore è sempre più grande delle parti che contiene, sicchè Norma Jeane era più grande di tutti in personaggi che interpretava. Persino più grande di “Marilyn Monroe”.Era consapevole che la propria recitazione era puro istinto viscerale e che forse non era neppure degna di essere chiamata tale, “e che quel dispendio di spirito l'avrebbe consumata prima dei trent'anni”. Norma Jeane era un’atleta pronta a spingersi fino ai limiti delle proprie possibilità, barattando la propria felicità e la propria giovinezza con l’applauso del pubblico. Tutti sostenevano che mancasse di “tecnica”. Ma la mera “tecnica” non è in realtà solo assenza di passione?La pellicola per Marilyn Monroe era un’amica, i propri personaggi un’animazione. Un’animazione che riusciva a controllare dentro di sé, proiettandosi direttamente sullo schermo, sapendo come gli spettatori l’avrebbero vista dal buio della sala. Un’immagine che migliaia di sconosciuti avrebbero scrutato e adorato.Marilyn era una fiamma viva, scoppiettante. Al di là della bellezza quanto della sensualità. Una febbre, un delirio, qualcosa di molto vicino a un genio morboso. Il genio folle che impazzisce se non riesce ad esprimersi - la causa dello sfacelo dei suoi ultimi anni. Marilyn, così insicura che chiedeva di rigirare all’infinito ogni scena, provandola anche per sessantacinque volte! Quando la scena però era perfetta lei lo capiva al volo e allora sorrideva, con quel suo sorriso abbacinante, talmente bello da non poter essere naturale. Talvolta però, soprattutto nelle ultime pellicole, era talmente terrorizzata che arrivava sul set con ore di ritardo, spesso senza neanche arrivarci. Tuttavia il cinema era il suo elemento: se si fosse fermata di recitare sarebbe annegata.Decine di volte in quegli anni si era ritrovata in quella sala cinematografica, il Sepulveda Theater a Van Nuys, da sola o con gli amici, a fissare incantata la Principessa Buona e il Principe Misterioso. Col cuore in gola per la loro sorte. Sognando di essere loro e non accorgendosi di essere molto più di loro. Sognava di essere portata nel loro mondo perfetto, di bearsi nella loro bellezza e nel loro amore, in quel mondo dove non c’era mai silenzio, ma sempre una dolce musica di sottofondo; dove non c’era alcun pericolo di sentirsi mancare la terra sotto i piedi, di sentirsi annegare.Marilyn Monroe incarnava il senso di colpa dell’America di metà secolo. L’America consumista. L’America tragica, “dove le misere toppe della Commedia” potevano ben poco davanti “alle falle della tragedia”.Marilyn Monroe era Hollywood e tutto ciò che vi gravitava attorno negli anni ’50. Era la paladina di volti senza tempo, di quegli attori che mai il mondo dimenticherà. Clark Gable, Marlon Brando, Montgomery Clift, Ava Gardner, Richard Widmark, Joseph Cotten, Tom Ewell, Jack Lemmon, Tony Curtis, Cary Grant. Gente che potevi aver conosciuto da sempre. Marlon Brando poteva essere un tuo zio scapolo e Ava Gardner un’amica di tua madre, giovane divorziata di provincia. Erano americani qualsiasi degli anni ’50, eppure erano misteriosi, diversi da tutti gli altri, perché li avevi conosciuti sullo schermo, appartenenti a quel mondo misterioso. Negli anni ’50, a Hollywood, persino la tua stessa faccia, vista in uno specchio -ad esempio quello specchio scheggiato nel bagno pubblico - era un mistero impossibile da comprendere.Marilyn Monroe, nata per stare sullo schermo, era incapace di vivere nella realtà. Con le persone vere non era come coi personaggi. La vita è una scena che non finisce mai, senza un regista che urla lo stop. Quando parli con le persone non sai mai cosa vogliono dire. Lì non c’è il copione, che sai già in partenza cosa ti diranno e cosa gli risponderai. Quando succede una cosa non c’è un perché, succede e basta. Come quando inizia a piovere.Da questo punto di giunzione nasce la proverbiale fragilità di Marilyn Monroe. Fragilità acuita dal fatto di essere donna. Le donne per gli uomini, infatti, non sono mai abbastanza forti; mai abbastanza alte; hanno il corpo delicato e fragile, sono bamboline; un corpo fatto per essere guardato, toccato, coccolato dagli altri; un carpo nato per essere usato dagli altri, perché gli altri lo mordano e lo assaporino; un corpo per gli altri e mai per sé stesse.Marilyn Monroe era schiava di questa concezione, schiava dell’Amore. Per lei essere voluta significava sapere di esistere. Voluta, anche se sua madre l’aveva rifiutata. Voluta, anche se il padre era scappato. Finchè un uomo qualsiasi la voleva, era salva.Marilyn Monroe non nacque contemporaneamente a Norma Jeane. Era una sera del gennaio 1950, quando tutto ebbe inizio, quando “Marilyn” venne al mondo. Sola e felice e festeggiare in mezzo a una folla di estranei elegantissimi, tra calici di champagne, senza il suo amante che non era venuto all’anteprima di Giungla d'Asfalto. Finalmente Norma Jeane era davvero “Marilyn Monroe”, sfolgorante in un abito da sera bianco, scollatissimo, attillatissimo, a voler porgere al mondo le proprie forme perfette. Finalmente il mondo in lei non vedeva più la sgualdrina, la cagna, la caricatura che guadagnava 12 dollari al giorno e che diede inizio alla propria carriera a carponi sul tappeto di pelliccia bianca di Mr Z; il mondo vedeva in lei la ragazza volenterosa, talentuosa, tenace e piena di speranza che era Norma Jeane Baker.Con l’avanzare del tempo, però, lei stessa si sarebbe dimenticata della sua vera essenza. “Marilyn Monroe” si sarebbe dimenticata di quanto anche Norma Jeane fosse stata incredibilmente bella, nonostante il colore slavato dei suoi capelli, nonostante la sua risatina stridula, nonostante i suoi abiti fin troppo sobri. Anche quando era poco più che adolescente, per strada, giovanotti e uomini adulti si erano voltati a guardarla ammirati ed era stata la sua foto su Stars & Stripes a mettere in moto il meccanismo e a farla rinascere come “Marilyn Monroe”, la bionda strepitosa, un ruolo a cui si era accuratamente preparata. Un ruolo però che non poteva essere felice.“Pensi che se un colibrì avesse la piena consapevolezza del battito delle proprie ali riuscirebbe a volare?”. Marilyn Monroe visse la proprio vita senza essere consapevole, in un’America corrotta, truccata per il mondo con centimetri e centimetri di cerone per nascondere le proprio perversioni e le proprie follie. Blonde ci racconta tutto questo. E’ una fotografia squallida, impudica, crudele, vera. Una rappresentazione dolente e dolorosa delle fragilità e delle meschinità umane. La Oates scandaglia l’abisso dei sentimenti umani, con una scrittura in terza persona, che sovente cede la narrazione alla balbettante voce della protagonista, o a quella talvolta rude e talvolta malinconica dei suoi amanti, o a quella spregiudicata e perfida dei suoi collaboratori. Pagine scritte in uno stampatello fitto, minuscolo, delirante; pagine scritte in corsivo, pagine di dialoghi, pagine ossessive, convulse, infernali, senza punteggiatura; pagine d’amore, di incubi, di deliri da alcool e barbiturici. Pagine che piangono vere lacrime, per l’amara sorte della loro dolce eroina. Marilyn Monroe. Norma Jeane Baker. La sorellina minore, nei cui sogni i giochi di bimba diventavano pietre per la propria tomba. La nostra Marilyn volata lontana, via, nella notte del mondo, caduta in un sogno profondo e violento. Volata, cantando, verso il mistero.«Del mondo antico e del mondo futuroera rimasta solo la bellezza, e tu,[...] quella bellezza l'avevi addosso umilmente[...] non hai mai saputo di averla,perché altrimenti non sarebbe stata bellezza.»

I have never watched a Marilyn Monroe movie and, before reading "Blonde," Joyce Carol Oates’ fictional biography of Marilyn Monroe, I knew pretty much nothing about her life, other than she had been married to famous people and sang "Happy Birthday" to JFK. I chose to read "Blonde" to find out more about Marilyn Monroe, to learn some of the truth behind the icon, so that she would become more real to me and less abstract. Ironically, I think this is the opposite of what Oates had in mind for readers when writing her book, as she has described Marilyn Monroe as a universal figure and, advancing this idea, presents "Blonde" as an updated Cinderella fairy tale using a series of abstract figures, starring Monroe as the "Fair Princess," a number of men as the "Dark Prince," and Monroe’s two husbands as the "Ex-athlete" and the "Playwright." However, while Oates tries to emphasize the universal elements of Marilyn Monroe’s fairytale rise to fame, ultimately she undermines the myth as she details Marilyn Monroe’s inner thoughts and concerns, making her appear less like a universal figure and more like a real, and unique, person.In "Blonde," Oates initially focuses on the Cinderella-type fairy tale rise of Marilyn Monroe from obscurity and neglect to worldwide fame and adulation. Marilyn Monroe is born Norma Jeane Baker. She doesn’t know who her father is, and her mother is emotionally unbalanced and tries to kill her, ultimately being sent to a mental facility and leaving Norma Jeane as an orphan. But in a fairy tale, "always there was the Fair Princess. And always the Dark Prince." The Dark Prince arrives in the form of Otto Ose, who swoops into Norma Jean’s life to save her from her boring job. He takes her pictures and sells her image, allowing her to be discovered by the Studio. Oates recasts Norma Jeane’s story as a fairy tale: "Once upon a time," she says, there was a little girl who came to the Walled Garden and discovered the secret way in from her fairy godmother. "There’s a hidden door in the wall, but you must wait like a good little girl for this door to be opened," she tells her. "You must win over the doorkeeper – an old, ugly, green-skinned gnome. You must make the doorkeeper take notice of you. You must make the doorkeeper admire you. You must make the doorkeeper desire you." Only then, would the ugly gnome fall in love with her and the two "live happily forever in his Garden Kingdom." As Otto offers Norma Jeane $50 to pose nude, she thinks, "I saw that I must be sold. For there I would be desired, and I would be loved." Norma Jeane sells herself and is transformed into the "Fair Princess," Marilyn Monroe, who is loved and desired by many men.However, Oates does not end her story with this transformation of Norma Jeane into Marilyn Monroe, as the last part of the book details the inner life of Marilyn Monroe. Although Norma Jeane could be seen as a universal figure – a poor orphan who struggles for fame by selling herself – Marilyn Monroe herself is a unique figure and icon. While Oates tries to maintain the fairy tale elements of the story by giving Monroe’s famous husbands and lovers mythic qualities by referring to them only as the "Ex-athlete," the "Playwright," and the "President," these are not clearly not abstract figures. Whether they are named or not, they are clearly Joe Dimaggio, Arthur Miller, and John F. Kennedy. Furthermore, Oates doesn’t even attempt to make Marilyn Monroe’s movies abstract events, as she refers to specific movies like "The Asphalt Jungle," "Niagara," and "Some Like It Hot," and describes Marilyn Monroe’s specific roles in those movies as "Angela," "Rose," and "Sugar Kane." These are not Cinderella roles the reader is going to project herself into; these are Marilyn Monroe’s roles. As readers, we gain even more insight into the life of Marilyn Monroe as Oates details her inner life, making Marilyn Monroe less abstract and more like a real person. For example, as she watches the happy ending of her character Cherie in Bus Stop, she starts crying: "Why was I crying? Maybe because in actual life Cherie would’ve been drinking a lot. She would’ve been missing half her teeth. She would’ve had to sleep with the bastards. . . . There wouldn’t have been any good-looking yokel-cowboy Bo to throw her over his shoulder and carry her away to his ten-thousand-acre ranch." In exposing us to the real life of Marilyn Monroe, the fairy tale is lost, as we see all the gory details of her destruction. She is not some abstract Cinderella, but rather a real person with her own doubts and anxieties. As the last part of the book details Marilyn Monroe’s inner life, "Blonde" loses its mythic qualities, as the real-life Marilyn Monroe replaces the universal Cinderella-type figure of Norma Jeane.While Oates tries to emphasize the universal elements of Marilyn Monroe’s fairytale rise to fame, ultimately she undermines the fairy tale as she details Marilyn Monroe’s inner thoughts and concerns, making her appear less universal and more like a real, and unique, person. Reinforcing this idea, Oates ends "Blonde" with a poem titled, "The Fairy Tale – THE BURNING PRINCESS," which clearly relates to the life of Marilyn Monroe. In this poem, Oates describes a Beggar Maid transformed into a Fair Princess by the Dark Prince as he gives her a "magic elixir," cleansing her body and bleaching her hair before setting it on fire. The Princess dives off the platform, leaving her burning body and the maddening screams of the crowd behind. Oates writes, "[T]he burning Princess was dead. & I [the Beggar Maid] was alive." But is this true? Does The Beggar Maid (Norma Jeane) endure, while the Princess (Marilyn Monroe) dies? The answer is no – clearly, it is the icon of Marilyn Monroe that endures. While Oates’ goal behind "Blonde" is to teach us all a universal truth, in reality we learn more about the life of Marilyn Monroe than we learn about ourselves. Although "Blonde" has piqued my curiosity about her life, and maybe I will watch one of her movies now, I am still not sure what the lesson of Marilyn Monroe’s life is for the rest of us.

Do You like book Blonde (2002)?

Award-winning novelist Joyce Carol Oates gives us a picture of the life of "Marilyn Monroe", born Norma Jeane Baker, in this novel loosely based on Marilyn's life story. From her early childhood (abusive) to her years growing up in an orphanage & various foster homes, to her early marriage & years as a model & starlet, to her stardom, her lovers, her marriages, to her last years, the novel brings to life Marilyn's insecurity, instability, her yearning to prove or justify herself in some way, the tremendous battles she fought with herself every day, just to get by, let alone cope with stardom. I've read most of JCO's novels & this is one of my favorites. I love the way Oates uses "soft focus" and "hard focus" moments to depict Marilyn's life - the life of a movie star. One moment impressionistic & the next sharply concentrated on a single incident, the technique Oates uses is like the camera in Marilyn's life - shifting around, showing the best of Marilyn one moment & the worst the next. The camera gave Marilyn some of the best times of her life - and some of the worst - & that's how Oates moves around throughout the book - so you really get a sense of the different sides of Marilyn. "Good" Marilyn was talented, beautiful, loving, friendly, funny, studious, a writer, a perfectionist. "Bad" Marilyn was silly, self-destructive, lacking in personal hygiene, self-absorbed, despairing, wasteful, messy, promiscuous, & uncaring about her own time or that of others. I liked the shifting narrators, & bits of journals, letters & other people's stories scattered throughout, to show the different ways Marilyn was perceived and known. Oates also brings to life the Hollywood era of big studios & McCarthy scare tactics - a world in which female stars, even big stars, had little power. Overall a haunting book that made me want to learn more about the real Norma Jeane. Why you might not like this book though I did - it's very long. It's very sad. You might get impatient with Marilyn. You might get impatient with just about every character in the book - other than Arthur Miller ("the Playwright"), who is given a sympathetic portrayal. If you don't like shifts in narrator, timeframe, etc., you probably won't like it - it can be a little hard to figure out in that way. And yeah...we all know how it ends.
—Marigold

I have conflicting emotions about this book, and it goes something like this, “The book is about Marilyn, so what is there NOT to like about it, right? Warts and all, it is a powerful book written by a powerful writer.” But the song that keeps playing in my head, the words that keep haunting me, comes from the voice of another writer, This is the story of a rape.“This is the story of a rape, of the events that led up to it and followed it and of the place in which it happened. There are the action, the people and the place; all of which are interrelated but in their totality incommunicable in isolation from the moral continuum of human affairs.”There is something so ugly and disturbing about Joyce Carol Oates’s interpretation of Marilyn’s life that if one were to take away the author’s name, one would suspect it was written by a loathsome mysogynist, hell-bent on destroying every last vestige of humanity in Marilyn Monroe, movie-queen, and Norma Jeane Baker, innocent dreamer.I fell into a dream-like trance in the first few hundred pages, falling subject to Norma Jeane’s unquenchable spirit. Even tossed about by the vagaries of her early years, the reader sees how Norma Jeane was destined for some kind of greatness. She was an indefatigable optimist; a resilient life force that did battle with her mother’s depression and burgeoning insanity, and from under which she sprang out stronger still. It was only later, after the little fighter had grown into a vibrant woman who had been knocked down one too many times that the inherited depression finally consumed her and dragged her into hell. In the intervening years she fought -- and fought like hell -- to hang onto the dream of “getting out alive” and making something of her life. The reader can’t help but feel an overwhelming sadness, and fatalism, because unlike the young Norma Jeane, we know how the story ends. So far, so good, despite its all-consuming sadness.Then, Oates’s fangs come out. She reveals to us her secret loathing for Marilyn, sub-consciously played out in the voice of the men who hated The Blonde Actress: cow, cunt, stupid cunt, mammalian bitch, tramp, slut, WHORE, sucker of cocks, depressed whacko bitch, stupid cunt, stupid cunt, stupid cunt. OK, we hear you. But that’s the point: I don’t hear the voice of the men so much as I hear Oates’s voice in my head: you whore, you bitch, you cunt. The sub-text screams to me so loudly, it’s like a punch in the face by Oates, every slander uttered. This is nothing but a vile peep show, it occurred to me half way through the novel. Here I am, engaging in the tearing down of the movie-queen, complicit in the act of rape. No one is forcing me to read this book, just like no one forced Oates to write it.The voyeuristic quality is enhanced by the protracted use of the third person: The Blonde Actress, The Ex-Athlete, The Playwright, The President. We, the readers, are standing in the red light district, leering into the dimly-lit and dirty window where the young woman lies exposed and vulnerable. No one looks away, either out of decency or revulsion. A human being is being torn apart, and we continue to be complicit in her excoriation.You won’t write about me, will you, Daddy? You won’t write about me, will you? You won’t write about me? Knowing this -- knowing how much Norma Jeane abhorred being written about in her Marilyn persona -- Oates revels in ignoring her plea. Like the paparazzi who swoop like carrion birds, she licks up every last intimate detail and splatters it luridly for our consumption. Disturbingly, Oates seems even more obsessed with Marilyn’s body than the raving fans: dwelling, obsessively, on skin and excretions and secretions, ad nauseam. She is pre-occupied with Marilyn’s sexual intimacies and her miscarriages and her womb. She is so consumed by Marilyn’s womb, in fact, that she leaves us with the notion she believes all Marilyn ever was, was a big gaping receptacle of vileness, hungry for as much degradation as she could possibly contain. Over and over again, we hear stupid cunt, hailed as the avenue to the stinking, infertile receptacle. Marilyn’s womb did not bear fruit, after all -- it was simply another secreting, foul failure of our movie-queen.“I’m always running into people’s unconscious.” Those words, prophetically spoken by Marilyn Monroe in her empty-headed persona, shine quite a light on this fictional biography. Oates seems to have run smack into the middle of her own “unconscious” while trying to explore Marilyn’s. As much as art can be an exploratory medium to expose the vileness of the world and act as a cathartic force for change, just as often it reveals the vileness or the victim within. It often uncovers our own hidden truths and reveals to us our own failings. When confronted with ourselves, it thus becomes easy to say “this is just art” when we really should be admitting “this is me.” As much as this was an authoritative book then, it was an equally forceful indictment of the things that should not be said. Certain secrets should not be violated. Add to that, there are some books that should never have been written, despite the truths they hold. This is one of them.So many will disagree -- because it was written by an influential writer, and it’s art.
—Julie

Finally finished, wish I were still reading, all magic is gone from life now, pls advs.This is the New Feminist Text. I honestly think if every gal too young to remember (or too young to even have a mother who actively remembers the effects of) the women's movement of the 60s were given a copy of this book, we'd have much less patriarchy snackdom in the world, much more equal pay, and way fewer pointy-toed stilettos.Marilyn Monroe was continuously, systematically screwed over, pawned, and sucked dry by man after man (playwright and athlete and high school sweetheart alike) -- as well as by Men™, which includes not just men, but all the women, gentlemen, scholars, mathematicians, AND carpenters' wives who agree that the female body is but a glittery, soft object for boys to ogle, pet, and circle-jerk off to from the comforts of the Oval Office or locker-room bench alike -- an object off of which there's billions to be made! -- throughout her brief life.All the girls these days who walk around purring docilely between bouts of bulimia in designer skinnyjeans on their way to have their antidepressant prescriptions refilled need to read this book and then get back to us on whether or not they still think calling themselves -- and maybe actually BECOMING -- feminists is unnecessary.___________________________________________Update: I'm absorbing this book slowly through a long & visually unremarkable osmotic process... or maybe it's the other way around, and I'm ITS prey. Either way, I'm only a little more than halfway through, and I think I might experience actual, physical withdrawal when I'm done.For madness is seductive, sexy. Female madness.So long as the female is reasonably young and attractive.= why I love Joyce Carol Oates
—Bess

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